La divisione del lavoro, come ci è stato insegnato nell’ora di storia alle scuole elementari, è uno degli ingredienti alla base delle società umane organizzate ed evolute: ogni individuo si occupa di una precisa attività per contribuire al benessere e alla ricchezza collettiva ottenendo in cambio ciò di cui ha bisogno per vivere.
Il lavoro, dunque, rappresenta un paradigma nelle nostre vite: a parte rare eccezioni (eredità cospicue di un fantomatico zio d’America, lotterie che baciano il Gastone di turno…), una delle poche certezze della nostra esistenza è quella di dover cercare un lavoro per mantenerci.
I dati, però, ci danno un segnale importante: la Banca Mondiale ha dichiarato che l’automazione minaccia il 69% delle professioni in India e il 77% in Cina. Uno studio della Cambridge University, invece, mette in guardia gli USA stimando che il 47% delle professioni rischia di scomparire nei prossimi 20 anni. In UK si stima una possibile riduzione del 50% dei lavori esistenti a causa dei robot e dell’AI.
La produttività del lavoro (cioè il rapporto tra la produttività totale di un sistema e le ore impiegate da un lavoratore per realizzare un prodotto o progettare un servizio) è in calo vertiginoso in tutte le economie avanzate: praticamente, ogni euro di valore creato oggi incorpora gradualmente sempre meno lavoro umano – a beneficio dell’automazione e della tecnologia in tutte le sue forme più avanguardistiche.
Il lavoro nelle sue forme più tradizionali sta scomparendo, cedendo il passo a una generazione di lavoratori la cui parola d’ordine è “reinventarsi”.
Che ne sarà del lavoro e dei lavoratori?
Si aprono interessanti scenari inediti.
Il lavoro verrà relegato alla sfera del bisogno
Nel 1500 Thomas More scrisse la pionieristica opera Utopia: tramite il racconto di un’isola-stato fittizia, l’autore proponeva un modello di società in cui la proprietà privata era stata abolita e tutti i beni messi in comune; il commercio era quasi inesistente poiché superfluo e la popolazione si impegnava a lavorare la terra per un numero limitato di ore al giorno, impiegando il resto del proprio tempo nello studio e nel miglioramento della propria esistenza e della società stessa. Cinque secoli dopo, questa teoria sembra più che mai attuale: Serge Latouche, filosofo ed economista francese, propone una rivalutazione dei concetti di “dono” e “gratuità” e la riscoperta del vivere “in maniera più lenta”, concentrandosi sull’importanza delle relazioni con l’altro e tornando a concepire il lavoro come una necessità da soddisfare, e non come lo scopo o l’attività principale delle nostre vite.
Anche Bill Gates, fondatore di Microsoft, sembra dello stesso avviso: si è dichiarato favorevole alla tassazione dei robot secondo logiche identiche a quelle della tassazione dei lavoratori, allo scopo di “sollevare” gli esseri umani dalla propria obsoleta mansione e restituire più tempo libero alle persone.
Il concetto di lavorare meno per lavorare tutti potrebbe rivelarsi la giusta chiave di lettura del futuro prossimo: un futuro in cui le persone avranno il tempo di esplorare le proprie passioni e capacità, dedicandosi alle relazioni e al miglioramento di sé.
Il lavoro scomparirà del tutto
André Gorz, filosofo e giornalista francese, già negli anni ‘90 ci avvertiva del fatto che “dobbiamo osare e prepararci all’esodo dalla ‘work based society’“: secondo l’intellettuale, infatti, la tecnologia avrebbe rovesciato il paradigma attuale – ed è proprio ciò che sta accadendo.
Alcune interessanti proposte per una società post-lavoro sono già state avanzate da alcuni illustri “addetti ai lavori”. Elon Musk, CEO di Tesla, si spinge ancora più in là affermando che “alla fine dovremo introdurre un reddito di base universale”. Jeff Bezos, AD di Amazon, si è detto dello stesso avviso.
Jacques Fresco, futurologo di fama mondiale e fondatore del Venus Project, si è spinto ancora oltre, arrivando a concepire l’idea della resource-based economy: una società in cui il lavoro per come lo conosciamo e il denaro non esistono, i beni e i servizi sono disponibili gratuitamente e le risorse naturali sono considerate un bene comune per tutta l’umanità.
Più recentemente, Nick Srnicek e Alex Williams hanno dato alle stampe il saggio di
teoria politica “Inventare il futuro. Per un mondo senza lavoro” in cui gli autori spronano il lettore a pretendere la piena automazione dei processi produttivi e il reddito universale per riorientare la traiettoria dell’evoluzione tecnologica e giungere infine a una società in cui il lavoro umano risulta superfluo: la loro critica si concentra sul fatto che il progresso scientifico attualmente raggiunto renderebbe possibile la realizzazione di molte delle utopie teorizzate dai pensatori di ieri e di oggi, ma ciò non accade a causa della “paralisi dell’immaginario politico”.
La piena automazione e la scomparsa del lavoro consentirebbero all’essere umano di dedicarsi completamente alla ricerca di un senso della vita più profondo, fatto di sentimenti e di esperienze, in cui lo stress e la frenesia potrebbero essere solo un lontano ricordo.
Quale futuro? Parliamone
Le teorie sulla società post-lavoro sono sicuramente molto attuali e interessanti, e presentano numerose sfaccettature che vale la pena conoscere e analizzare.
Non esiste un futuro certo, quindi è importante discutere per individuare il migliore tra quelli possibili – ed è per questo che abbiamo deciso di creare uno spazio di discussione intorno al tema. Vogliamo dare la possibilità a tutti, “addetti ai lavori” e non, di partecipare al dibattito e sviluppare una riflessione costruttiva.
Come? Con la serata di apertura del ciclo di incontri Open Book.
Open Book è un format ospitato da Open Incet (il centro di Open Innovation di via Cigna 97/16 a Torino) e organizzato da The Doers, che vede la partecipazione di un relatore afferente alle realtà lavorative presenti nel polo stesso e un relatore esperto del tema che si confronteranno sugli argomenti proposti facendo riferimento a un libro che li ha ispirati particolarmente e coinvolgendo i presenti nel dibattito.
Il tema di discussione della serata dell’11 dicembre 2018 sarà proprio “l’impatto trasformativo del lavoro sulla società”, che inaugurerà un primo ciclo di 4 serate a tema The future of work. La serata vedrà Marco Riva, innovation manager di Open Incet, e Barbara D’Amico, giornalista e contributor di Wired.
L’evento è aperto a tutti e gratuito, ma i posti disponibili sono limitati.
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Non aspettare – il futuro è oggi.